Glicemia ed Infiammazione
Glicemia ed Infiammazione
I processi infiammatori sono influenzati in maniera determinante dalla glicemia e dagli ormoni che la regolano. La glicemia rappresenta la quantità di glucosio presente nel sangue ed è controllata da ormoni come l’insulina, il glucagone ed il cortisolo. Con il passare del tempo, una cattiva alimentazione, lo stress ed i fattori genetici possono portare ad una disregolazione glicemica. Questo fenomeno consiste in una instabilità dei livelli glicemici con effetti deleteri sulla salute.
L’insulina ed il glucagone sono ormoni prodotti dal Pancreas. L’insulina è un ormone anabolico ovvero stimola la crescita del tessuto muscolare e la sintesi degli acidi grassi (1). Il glucagone invece, assieme all’adrenalina ed al cortisolo, è un ormone catabolico ovvero ha la funzione di scomporre le proteine, i grassi e gli zuccheri complessi provenienti dai tessuti, per la produzione di energia cellulare. L’insulina ed il glucagone hanno effetti contrastanti tra loro e si modulano reciprocamente in maniera antagonistica.
Quando ingeriamo un pasto ricco di carboidrati, il livello d’insulina nel sangue sale rapidamente mentre la concentrazione di glucagone scende (2). Molto spesso parlando di diete si menziona il così detto indice glicemico o IG. Questo valore indica la risposta glicemica di ciascun alimento rispetto ad un cibo di riferimento rappresentato dal pane bianco, il cui IG è pari a 100. In generale, più un alimento è raffinato, ovvero a base di farine bianche, zuccheri semplici, etc., maggiore sarà il suo indice glicemico. L’IG dei carboidrati complessi, composti da grani o farine integrali ricche di fibre, è sostanzialmente basso. L’indice glicemico del glucosio è di circa 138, quello del pompelmo 36, degli spaghetti 42, etc. (2)
Il carico glicemico o CG esprime invece la quantità di carboidrati presenti in un determinato prodotto in rapporto al proprio IG. Non sempre l’IG ed il CG sono direttamente proporzionali, esistono infatti alimenti come l’anguria che hanno un alto IG ma un basso CG, ovvero la quantità di carboidrati presente nel cibo è bassa. Dall’altro lato alcuni alimenti come la pasta, hanno un basso IG ed un CG alto (22). Un indice glicemico elevato è dannoso per l’organismo, in quanto provoca una risposta al glucosio eccessiva ed un’alta secrezione d’insulina. Consumare cibi con un basso indice glicemico offre perciò una serie di benefici per la salute (2), tra cui: un miglioramento della performance atletica, un maggiore senso di sazietà, una riduzione della produzione d’ insulina, un abbassamento della glicemia nei pazienti diabetici ed una riduzione dei lipidi nel sangue come colesterolo e trigliceridi. Gli alimenti ad alto IG predispongono al diabete, per questo è consigliabile assumere carboidrati da fonti con un basso IG come verdura e frutta non troppo matura (3).
Come accennato, un consumo eccessivo di zuccheri provoca una secrezione eccessiva d’ insulina. Se i livelli di questo ormone restano elevati per un tempo prolungato, si crea una condizione conosciuta come resistenza insulinica. Nella resistenza insulinica, i recettori contenuti nelle cellule non rispondono adeguatamente all’insulina provocando un innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue. Con il progredire della patologia, le cellule pancreatiche non riescono più a produrre insulina a sufficienza e di conseguenza ad abbassare la glicemia ed a veicolare il glucosio all’interno delle cellule. La resistenza insulinica è alla base del Diabete Mellito di tipo 2 o DM2. Il diabete se associato anche a: sovrappeso, ipertensione arteriosa ed alti livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue, è alla base della così detta sindrome metabolica o sindrome da insulino resistenza (4).
L’iperinsulinemia infatti non solo provoca il diabete, ma anche il sovrappeso e l’ obesità (5). I cibi a base di carboidrati provocano quasi esclusivamente la produzione d’insulina, mentre gli alimenti proteici provocano sia la secrezione d’insulina che quella di glucagone (2). L’insulina ed il glucosio provenienti dai carboidrati raffinati, stimolano l’espressione di enzimi che determinano l’accrescimento del tessuto adiposo o lipogenesi, mentre il glucagone inibisce la sintesi dei lipidi.
Al contrario dei luoghi comuni, i grassi alimentari promuovono la perdita di tessuto adiposo, ostacolando quindi la lipogenesi (6). Gli acidi grassi polinsaturi, in particolare il DHA assieme agli altri omega-3, hanno il maggior effetto “brucia grassi”, chiamato in termini scientifici beta ossidazione dei lipidi (8,10). Tuttavia non tutti i grassi sono buoni, gli omega-6 ed i grassi saturi sono pro-infiammatori e possono aggravare l’iperinsulinemia e l’insulino resistenza (7,8). In uno studio, è stato osservato che riducendo i grassi saturi nella dieta dal 14% all’8%, si può ottenere una riduzione dei livelli d’insulina del 18% a digiuno e del ben 25% dopo i pasti (9). Una dieta troppo ricca in carboidrati o in grassi saturi è rischiosa non solo per il diabete, ma anche per l’ obesità, le malattie cardiovascolari ed i processi infiammatori in genere.
Alcuni studiosi di Stanford (10) suggeriscono che l’apporto calorico di ogni pasto dovrebbe essere suddiviso tra i vari nutrienti nella seguente proporzione:
- · 45% di carboidrati
- · 15% di proteine
- · 10% di grassi saturi
- · 10% di grassi polinsaturi
- · 20% di grassi monoinsaturi
In una dieta di questo tipo, i grassi rappresentano ben il 40% dell’apporto energetico totale. Il rapporto tra carboidrati e proteine è di 3 a 1, al contrario del rapporto 1,3 a 1 suggerito dalla popolare dieta a Zona (11), la quale prevede valori proteici molto più elevati.
In definitiva, eliminare i grassi dall’alimentazione non solo non aiuta a perdere peso (12), ma può addirittura avere un effetto pro-infiammatorio e contribuire alla disregolazione glicemica (13).
Il consumo di carboidrati ad alto indice glicemico produce infiammazione. L’iperglicemia provoca la produzione di radicali liberi che accelerano l’invecchiamento cellulare (14). L’ ipersecrezione insulinica promuove una maggiore attività di un enzima chiamato delta-5-desaturase, il quale trasforma gli acidi grassi omega-6 nel pro-infiammatorio acido arachidonico (15). In uno studio dell’Università di Harvard (16), sono stati misurati i livelli ematici di un marker dell’infiammazione chiamato proteina C-reattiva ad alta sensibilità o PCR hs. Da questa ricerca è stato osservato che gli alimenti ad alto indice glicemico, provocano un aumento dei livelli di PCR hs.
La qualità ed il tipo di carboidrati che consumiamo, influenza notevolmente i processi infiammatori. Ad esempio, i carboidrati con un alto contenuto di fibre, sia solubili che insolubili, possono non solo ridurre i livelli di PCR hs (17), ma anche di altri marker dell’infiammazione come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF alfa) e l’ interleuchina-6 (Il-6) (18). Questi risultati sono stati rilevati su individui con un consumo di fibre giornaliero superiore ai 24 grammi.
Un altro elemento essenziale per il controllo della glicemia è senza dubbio l’attività fisica. Il movimento aumenta la sensibilità all’ insulina, riducendo quindi l’ insulino-resistenza. L’allenamento sportivo può aumentare la risposta insulinica fino al 40% (19). Anche l’aumento dei livelli d’insulina relativo all’invecchiamento può essere efficacemente contrastato da una regolare attività fisica (20).
In conclusione, per prevenire la disregolazione glicemica ed i suoi effetti deleteri bisogna (21):
1) Ridurre al minimo il consumo di carboidrati raffinati come: dolci, farine bianche, zuccheri semplici, etc.
2) Diminuire i carboidrati nella dieta, i quali devono rappresentare meno del 50% dell’apporto calorico totale
3) Mantenere un rapporto carboidrati/proteine compreso tra 3 a 1 e 2 a 1
4) Utilizzare come fonte principale di carboidrati le verdure e la frutta
5) Mantenere un rapporto tra omega-6 ed omega-3 di circa 1 a 1
6) Consumare olio extra vergine di oliva a crudo per aumentare l’apporto di acidi grassi monoinsaturi
7) Consumare grandi quantità di spezie come: aglio, cipolle, zenzero, curcuma, etc. Tra i vari benefici, le spezie posseggono infatti un notevole effetto anticoagulante ed anti infiammatorio
8) Consumare alimenti ricchi di fibre, vitamine e minerali
9) Adottare uno stile di vita attivo e praticare sport regolarmente.
- (1) Shils M, Young M 1988, Modern nutrition in health and disease, 7th edn, Lea and Febiger, Philadelphia.
- (2) Shils M, Young M 1988, Modern nutrition in health and disease, 8th edn, Lea and Febiger, Philadelphia.
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